martedì 29 novembre 2011

E accadde mentre si lavava i capelli. Le accadde di capire, mentre tra lei ed il soffitto c'era solo acqua che le rigava, indulgente ed imprecisa, il cranio e separava, senza dividere; già acqua, acqua che non sarebbe tornata, e che giocava lenta ed implacabile sul suo capo. Una matassa di sogni spenti ed asciutti che ricominciava a strusciarle addosso. In uno di quei momenti in cui il corpo diventa un oggetto, tra gli oggetti. Come se fosse svuotato di ogni volontà. Il corpo è una cosa che si lascia vivere da noi. L'oggetto degli oggetti. Nel gioco della vita. Come se fosse un pulsante, un joystick, una lancia, uno sputacarezze, una ruspa o una pinza da insalata. E poi pian piano diventa sempre altro. Una specie di magazzino. Lei comprese, ne percepì una vaghissima sensazione, nulla di tattile, ma trattenne. Tenne per quale istante quella sensazione di essersi avvicinata alla verità. E che forse la verità non le interessava. Perchè la verità non era mai reale. Nè ferma. Era la non verità, senza diventare menzogna, che diventava solida, forma, carne e misura. E di riflesso ci dava la possibilità di cambiare strada. Ancora a raccogliere vita e voglia e desiderio. Per quello deviamo e ci rivoltiamo e continiamo a camminare. Contro ed oltre ogni apparente immobilità. Così slentò la sua corsa dietro a quel perchè. Lo sentì scivolare via con l'acqua. Come quando da bambini si capiva il trucco. Ed era solo imparare ed imparare a capire. Quella era una domanda che ne aveva precedute altre. Perchè domandare era un modo per smettere di rispondersi. Non aveva mai previsto che tentare di vivere fosse una possibilità. Una tra le tante. Senza che fosse neanche la migliore.
Solo che aveva il sapore del sole.
E forse una parola nuova da sciogliere sotto il palato.
Non voleva spiare il mondo.
Lei voleva guardarlo.
Ad occhi pieni.
Ed inspiegabilmente alternava un pensiero delicato ed uno brutale.
Quasi mangiarsi di baci e morsi.

martedì 8 novembre 2011

Mi piace scriverti sul collo. Dita e fiato. Pensieri invisibili. In una specie di pudore che si accumula fino ad esplodere in una cascata di impeto e delirio. Ti segno lentamente quei pensieri, e poi sempre di più. E ti racconto le mie fiabe e poi ancora e ti soffio le mie storie immonde e macabre. Tutte le paure di cui sono fatta e che sono diventate carne e desiderio e piacere e baci. Tu ti dimeni, ma io non smetto di raccontare. Di inventarle. Saliva e altri baci. E le mie labbra sulle tue vene. Come una zattera lungo un corso d'acqua. Non smettono di seguirne il sentiero. Perchè se lo lasciassero andare crederebbero di annegare. Non c'è lieto fine. Nè foce nè estuario. Nessuna cima da cui nascere per poi morire a valle. Solo autunni rossi e fragili. Io dentro una coperta. E il mio cuore sulla tua schiena. Mi sforzo di moderarne i battiti. Di dosarli, per non far rumore. Non voglio che tu ti accorga del demone che mi morde le viscere. E per non farti capire quanto io tu mi piaccia. E mi piaccia piacerti. Solo un poco. Lo confido solo al tuo lobo sinistro. Come se fosse di miele. Non mi resta che addormentarmi, in questo sogno. Con gli occhi addosso, su un palcoscenico senza regia. Mi addormento e ti lascio scivolare come un serpente spaventato, ti lascio volare come una colomba, o evaporare come neve al sole. Perchè tutto quello che serve e che mi serve è dentro di me. E' così che una donna si scompone e si ricompone, sogno dopo sogno. Come una matrioska di cartone. Basterebbe una pioggia per rimescolarne la carne e non ritrovare più i confini ed i limiti tra le sue parti. Dimenticare è un pò rinascere. Senza odio nè indifferenza. Altrimenti significa solo di sovrapporre. E inutilmente perdersi dentro di sè. Come in una foresta che diviene sconosciuta e nemica.
Questa foglia appena sotto la pelle è un segno di te.
Di quando mi hai resa principessa nel castello.
E mi hai pianto e riso e sorriso e baciata.
Tutto dentro gli occhi.
Come se fossi la cosa più bella che poteva capitarmi.
Per poco.
La misura dell'incanto.
Lasciarsi bastare la bellezza, senza pretenderla.
Altrimenti diviene dolore.