lunedì 6 dicembre 2010

Sgranocchio consapevolezza. Per renderla inconsistente. La sento prostrarsi e protendersi sotto i denti. Umida e sfuggente. Come un bacio. Forse l'ultimo. O il primo. Quello che sa ancora di lingua sconosciuta e straniera. E tu credevi fosse rugiada. E facevi le prove contro un vetro. E disegnavi le labbra con gli aloni. Per verificarne i contorni. Inconsistenza dell'esserci a modo proprio. E un pò il negarsi. Scuotersi i capelli nel vento. Come leoni erbivori. Astraggo tutti dal segno inverso che sento. Un pugnale che affonda. Gli altri sono solo occasioni. Di una ferita come una sacca. Nessun eroico appartenersi. E le promesse che scivolano come foglie a pancia in su. Mentre la lama compie un giro di non ritorno. Sarebbe così facile spiegare. Perchè avevo capito. Ma è nel silenzio che tutto ha la sua vera voce. Fatta di occhi. Perchè il senso del meditare è cercare di vedere. E si vede solo lasciandosi colare la voce addosso. Quella che la mente secerne come un veleno. O come un antidoto. E poi è lo stesso.
"I meditanti sanno da sempre di dover usare i loro occhi e il linguaggio del tempo a cui appartengono per esprimere la propria profonda comprensione".
E della incomprensione cosa ne facciamo?
Come la esprimo io questa immensa bolla di sapone?
Erba negli occhi e mordo vento.
Sentire e non saper spiegare.
Con la voglia di vomitare il cuore.
Come se fosse un punto goffo al centro.
La mente è il nostro vero occhio.
E pensarti è vederti e un pò amarti.
A modo mio.
E accarezzarti.
A mani sincere.
E poi all'improvviso ho sgozzato la mia bambola.
Perchè non voleva baciarmi.

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