lunedì 6 dicembre 2010


Ho pochi etti di delirio da slinguare. Un minuscolo cartoccio. A forma di cielo. Delirio morbido e caldo. Pochi frammenti, liquidi e sparsi, da lasciarmi colare nella gola. Siamo imbuti con un orlo variabile. Come una preghiera. E pregare come se ci fossero altari di demoni con le ali. Pensare che esista un dio capace di volare mi fa sembrare tutto leggero. Ali languide a spengermi l'idea. Perchè la annegano nell'aria. Quella che rubano. E io rubo a loro. Per dare un senso alle preghiere. E poi è solo solitudine bastarda. "Osa cazzo". E mi sorridevi dentro. Avevi già osato. Mille volte. Mi avevi cosparso gli occhi di gentilezza. Non sospetta. Nè aspettata. Quella a cui non sapevo resistere. Come le fragole di inverno. Forse una specie di sogno. Da rana triste. E una tekila ad allagarci il cuore. E a slargarci i lembi. Un vero dio sa anche strisciare. Ed aspettavo il suo solco. E poi la fragilità non è debolezza. E' più debole chi fa del male che chi lo riceve. E assecondarsi il cuore è un rischio non calcolato. Seguirlo nelle sue ripide. Come se fosse un tronco su un torrente. Mentre è solo un filo d'erba. Di un prato sfacciatamente esteso. Da proteggere. Mentre si urla al mondo, e lui sa solo tremare. Non sa difenderti. E trema delle paura sua e tua. Ma di nascosto. E forse avere poco e sentirlo immenso. E forse avere tanto e non saperlo afferrare. Come in un pagliaio.
C'era l'estate nei tuoi occhi e schizzi di fragole acerbe.
E sotto il palato io mi scioglievo il tuo nome.
Come una zolletta.
Ma fuori era inverno.
Era troppo inverno.

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