domenica 31 maggio 2009

Intreccio pensieri e confusione. Punti di domanda come frutti maturi. E il ramo dondola. Si piega. Nel vento e nello stupore. Alterno furia e lucida dolcezza. Lama nella carne. Mia. E segno su di me gli errori. Come se questa pelle fosse un diario. Impuro. Assolutamente non segreto. Solo ignoto. La casa delle farfalle. Vacilla. Nella mia mente.
E la mia chiave è sul fondo.
Non la trovo.
Non la cerco.
Ultimo asterisco.
Le mie labbra continuano a rubare aria. E non la restituiscono. Ho paura delle parole. Bucano. Scavano. E colano a picco. Vestita di parole, tremo. Nella mia pallida nudità. La luna mi ha voltato le spalle. Nessuna luce sull'anima. Solo una fioca ombra. E io la stringo. Al cuore. Mi vesto di amore.
Ultimo asterisco.
Apro le mie mani. E mi scorro lontana. Il fiume non si ferma. Lo supplico. E trattengo. Ma l'acqua sfugge. Non bagna. Nè disseta. Cerco la traccia. La vedo. Ma taccio. Il mio pudore è un seme sterile.
Ultimo.
Giuro.
Ultimo asterisco.
Ma forse mento.

giovedì 28 maggio 2009

Devo scrivere. E lo faccio. Per dimenticare ed accantonare. Il senso di errore. Scrivere è tuffarsi in un lago di oblio. Dalla realtà. Il tuo silenzio vibra di mille respiri. Vibra di sangue e di passione. Ne mordo un pezzetto. Lo trattengo tra le labbra. Così sei un pò mio. E io tua. Con pezzettini del tuo silenzio tra le labbra. Questo è l'ombra dell'appartanersi. Annegato nei sensi. Perchè se ti penso, dalle labbra mi coli a picco. Dentro. La verità brucia ancora. E continuerà. E' uno spessore di ghiaccio. Incandescente. Nessun palliativo. Solo angoli di desiderio. Puro. E a volte impuro. Mi stai navigando ancora dentro. Parole perdute. Mai.
L'unica musica che vorrei è fatta di brividi che rimbombano nella mente. Striscia un bacio sulla mia bocca avida. E io lo accoglierò. Senza trattenere altro che la sua idea. Piccola geisha adorante ai piedi del suo signore.
Ai margini. Nascoste dietro una tenda. Le mani si intrecciavano. Strofinanandosi l'assenza contro. Fino a non sentirla. A scavarsi d'ardore. Pudico. Le mani si osservavano. E osservavano il mondo. In una rete di sogni. Leggera e morbida. E a dirlo già si fendeva. Si sussurrava d'amore. Nel silenzio si sublimava la sua voglia. Mai vissuto. Fino in fondo. Libere di guardarsi tra le ciglia della notte. Le mani si dormivano addosso. Ed era semplice. Ma bellissimo. Da non volerlo lasciare finire mai.
E mi avvolgo nella tua idea. Sei il mio bosco. E ti respiro. E' quello che voglio. Il tuo profumo e il tuo rumore. Vicini. Alle mie spalle. E nelle orecchie. Mi piego nel tuo desiderio. E ti dono il mio desiderarti. Avvolgimi. E legami. Tu puoi. Scorrermi e percorrermi. E rigare di luce il mio buio. Io sono questo. Ombra affamata della luce. E non comprendo il limite. Quando il giorno si fa notte. E il giorno notte. Quale è il confine tra te e il desiderio di te. Perchè nei sogni ci sei. E sei mio. L'unica carne che vorrei essere. E poi riapro gli occhi e sei solo aria. Dolcissima aria. Nella mia mente. La nostra casa. Dove possiamo esserci immensamente dentro. Potessi descrivere quello che provo ora. Un nodo dentro.
Si ripiegò come il tormento sull'errore. Si fece conchiglia. Di sè. Capovolta. Con le spalle al mondo. Sfuggire alla luce era il modo migliore per ricordare. Imprimere. E lasciare colare a picco. Su fondali inesplorati. Fino a graffiare il fondo. Così può riemergere. La luce aiuta a dimenticare. Leviga e illumina ogni meandro, riempiendo le pieghe di oblio. Al margine tra comprensione e crudeltà. E non sapeva cosa servare nella memoria. Cosa distruggere e cosa incastrare. Nel suo guscio. Si era persa tra tempo e ricordo. E non sapeva distinguerli. Mentre il mondo le lisciava la schiena. Con morsi e baci. E non osava voltarsi. Si accovacciò ancora. Spingendosi oltre la resistenza. Come una carezza sulla ferita. La dolcezza non lenisce. Esaspera. Comunque non nasconde il dolore. Una fitta inspiegabile. Dilatata in un dolore lento. Ma senza logica. E dolore non era. Ma la sua ombra. Orribile è l'ombra del dolore. Perchè il dolore deve avere una logica. Per avere dignità. E si sporse ancora. Fino a sentire il corpo vibrare. Fino alla fine. E oltre. E si sorrise. Schiudendo la forza dal suo scrigno. E questa volta non era peccato. O forse non lo era mai stato. A lungo contratta come una corda prima della frustata. Fu così. Frustare l'aria di vita. E frantumare le sue notti. Immobili. Quando l'aria levigava il suo sonno. Affinché non lasciasse scie. Ripuliva le sue notti. Quasi a rendere immacolati i suoi pensieri. Era questo. Era assenza. Era troppo. Era da questo che voleva sfuggire. Dal candore delle sue scie. Voleva solo perdersi nelle sue macchie. Fino a non poterne più. L'autenticità è l'unica macchia in cui immergersi. Fino ad annegarvi. E non era la fine. Ma assolutamente l'inizio. Un fiore di carne. E tra i petali promesse.
Non voglio più avere paura di quello che sento.
E ripulire macchie che non esistono.
Ombre e orme si mischiano sul muro. Si inseguono. Si calpestano. Non vedo. So. Il mio soffitto è un cielo cosparso di delirio. Sembra così lontano questa notte. La voce nella mente mi racconta una storia. E si confonde con la mia. Una luna stanca pulsa. E sembra il battito del mondo. Io non lo so cosa può voler dire. Ma raccolgo segni. Come se fosse pioggia. Mi lascio bagnare. Mentre tutto arde. Il semaforo rovescia la sua luce sul mio muro. Fino a raschiare ogni traccia. Dura istanti. Ma pesano come zavorre. E affondo nel mio sonno. Nuda come una stella.
Ho avvicinato la mia pelle alla tua.
Ci ho ricamato desiderio.
Fino a confonderle.
E diventare il tuo lenzuolo.
Stanotte non voglio sogni.
Solo pioggia.
Per cancellare.

martedì 26 maggio 2009

Mi pungolo il cuore con un ago. Non c'è sangue. Solo rugiada. Il mio cuore si finge rosa. Rossa come un bacio. Come labbra strappate all'ignoto. Su cui si è impresso un segreto. E nasconde le sue spine. Forse è pudore. O tranello. Sensuale e leggiadro. Scivola come seta sul mio corpo. Come se fosse la rete in cui mi sono persa. E scivolo dentro. E contro. E le maglie sono i miei pensieri. E i miei limiti. Paure. Maglie spesse. La catena deve avere un anello fragile. Per sfuggire da me e dai meandri di me. Tutto amplificato. Spinge ed urta. Solo per cercare la spina. E rimuoverla. Eroica inerzia. Prima che entri nel cuore.
Ho dimenticato quando tutto questo è accaduto.
E non so cosa sia quella sostanza che noi chiamiamo tempo.
Né ne conosco la consistenza.
Adesso il cuore è cuore.
E ha smesso di disegnarsi e cancellarsi.
E discretamente pulsa.
Senza rumore.
Ma tutto questo finirà.
O forse è già finito.

domenica 24 maggio 2009

Il vento è la carezza del mondo. Si infila dentro. Collana di respiri. Fino alle ossa. E oltre. Lentamente. E notti zeppe di stelle si diluiscono in albe liquide. Come croste smangiate di cielo. Dove vanno a finire le stelle? La luce le inghiotte nella sua tana. Il cielo è lo specchio in cui abbiamo paura a sporgerci. Tremiamo d'attese e di incompiuta bellezza. Stordisce. E si sostituisce al resto del mondo. Ti stritola il cuore. E lo riempie di battiti. Uccido le mie mani. Senza pietà. Perchè così si uccide la paura. Senza mani. Vago. Nel ricordo dei colori e della scoperta. Senza rami. Mi esercito nell'immobilità. La tentazione più ricorrente. La goccia che cade e ricade su se stessa. Il respiro che si respira addosso. Tocco il mondo con gli occhi. Perchè quello che voglio è sentirmeli riempire di vita. Colpa del vento. Alito caldo della luna. Ho una foglia al posto del cuore. E sta tremando.
Come se il cielo fosse un immenso barattolo.
Il buio si ritrae e mi scaraventa nel misfatto.
Fatto di luce impura.
Nulla si nasconde alla luce.
Tranne che la verità.
Quella è sepoltata tra strati di buio.
Come se fosse coscienza.
Scavare cielo può fare tanto male.
Ti fa sentire stella.
O nuvola pazza.
Dimenticando la tua carne.
Come se fosse un sacchetto.
Le mani si graffiano di solitudine.
E non ha logica.
E ti incastri tra i solchi della tua pelle.
Credendo sia cielo.
E in una tristezza fatta di parole rubate.
Mendicante di sogni.
E di stracci.
Dimenticandoti del cielo.
In cui hai affondato le mani.
Fino al gomito.
L'ego danza con il vento.
Impronte di cielo tra le dita.
Come un marchio.
E non puoi nascondere.
Di luce nuda mi sono lasciata legare.
E penetrare.
Ha lenito le ferite.
Per poco.
Come un'alba improvvisa.
Mi rifugio nell'odore del mare.
Non riesco più a guardare con i suoi occhi.
Prima sì.
C'erano estati fatte di salsedine sulla schiena.
Dell'odore del limone e di fragole.
Iniziavano presto.
Tra i libri e la sabbia e i capelli nel vento.
E le risate e le confidenze peccaminose.
E le lacrime stupide e sincere.
Dall'odore di terra calda.
Non ho più gli occhi del mare.
Solo mani piene di cielo rubato.

sabato 23 maggio 2009

E mi perdo nella differenza tra il descrivere e il raccontare. E il cuore si intromette. Ho smesso di cercare di spiegare. Le parole segnano percorsi strani. E deviazioni inutili. Ricucio l'orlo. Di raso e saliva. E perdo il confine delle mie labbra. Lo disegno e lo cancello. Come se fossero un cancello. Tengo ogni senso per me. Nella circonferenza bislenca della mia intimità. Ho imparato a trattenere. A lasciarmi accarezzare. Da dentro. A volte scavare. A ricamare brividi intorno al cuore. E a serbare. Come se fosse un alveare. E non so spiegare cosa sia. E forse non voglio. E' come un piccolo cristallo rubato. E conservato. Immensamente illumina. Ma ogni movimento sbagliato taglia. A volte ne offro un pezzettino sul palmo della mano. Con parsimonia. La chiarezza non si sperpera. Nè la si impone. E' un soffio di primavera. E' la carezza della mente.

Ma è l'estate che si finge primavera.
E arde ogni bocciolo.
All'improvviso.
Come fosse fuoco.
Fiamma nella mente.
Da non vederci più.
Senza essere delirio.
Da non poterne più.
E donare la tua pelle all'errore.
E staccarsi dal pavimento.
Come sospesi.
Fuoco nel fuoco.
Un serpente nella pancia.
Non so spiegarlo.
Ma succede.
E forse dovrei tacere.
Invece di sgozzare fiori.

venerdì 22 maggio 2009

Mescolo le carte. E ne manca sempre una. Le conto e le riconto. In tutti i versi. Ne faccio mucchietti. E poi ricomincio. La conta è rumorosa. Mi assento e torno. Le carte si adagiano. Invano. Non so quale manchi. E se manchi davvero.
Chi decide che il tutto debba avere un sigillo di una completezza?
La completezza non ha nome.
Nè regole.
Nulla è più relativo del tutto.
Siamo circonferenze spezzate. E i nostri margini si avvicinano senza arrivare. A volte si sovrappongo. Senza collimare. E' nell'incompiuto che si celebra l'esistenza. E le parole scivolano via. Inutili e avare. Mi avvinghio a ciò che sento. E potrei scalare una montagna. O forse saltare un solo scalino. O scivolare lontano. Ma ho controllato. Il sangue ancora scorre. Sta pulsando e vivo. Di sangue che mi riempie. Di vita. E di vita sognata. E poi è lo stesso. La mia testa è la mia sola casa. E a volte è il mondo. Non ho più bisogno di dovere dire. Mi basta pensare. E riempire di silenzio le parole. Osservo. E mi piace. In fondo è la vita che ci accomuna tutti. Oltre ci sono solo le parole. Scintille che lasciano un grande buio.

Confondo stelle e margherite.
Che differenza c'è tra un prato ed un cielo?
E' solo questione di prospettiva.
E di postura.
Testa alta e spalle dritte.
Confondo il cielo con lo sguardo.
E poi non ci riesco.
Ho il maledetto vizio di fissare la gente negli occhi.
E mi distraggo.
E adesso che io ti amo tu giochi tra specchi. E mi sorridi. E poi sbuffi. Ti ingozzo di insicurezza. E le tue dita non sono mai di carne. Ma di furia. Ti respiro sul collo. E il tuo odore mi scioglie il cervello. Ho paura di perderti. Perchè è così che mi perderei io. Mai quanto adesso sento estranea la tua pelle. E mi piace. Come se ci fosse un brivido e una lama nell'esserci e non esserci. E quando sei dentro di me ho voglia di guardarti le viscere. Per vedere come sei. E perdermi nella tua morbida indecenza. Ma il cuore scivola come un'anguilla. E il tuo orgasmo è un'alba e un tramonto. E mi chiudo dietro le palpebre. Ridi se ti parlo di sole e luna. Ma io li vedo nei tuoi occhi. E non te lo dico. Lo confesso alle lenzuola. Sporche ruffiane. E il mio cuore ci batte contro. Perchè là c'è il calco di ogni mio pensiero. Segreto. E non è mistero. Forse bugia. L'amore è una sporca bugia. O forse la più vera.

mercoledì 20 maggio 2009

Prigioniera.
Di libertà sfusa.
Ciuffi di libera.
Libertà sdraiata.
A strati.
E cera.
Dove incidere la promessa.
E poi cancellarla.
Voglio sentire lettere per lettera mentre viene impressa.
In una direzione.
E al contrario.
Sentire la bacchetta che si immerge nel troppo denso.
Quasi a confine con la cera.
Fino al delirio.
Che poi è verità.
L'unica possibile.
Per dimenticare.
Nessuno deve sapere.
Sarebbe come strappare i ricordi al tempo.
Togliere al tempo strati di pelle.
E mi stiracchio nella delusione.
In fondo non è così scomoda.
Ha già scavato il solco.
E' una coperta di aria fitta.
La urto.
Mi comprime le labbra.
Fino farle sanguinare.
Come se fossi in una scatola fatta di roccia.
E forse è il mondo.
E a sentire le ossa dolermi.
Per trattenermi le ali.
Per farle implodere.
E mi avvolgo.
In un nodo.
Unisco ogni lembo.
Senza farne toccare le estrimità.
Non sono labbra da baciare.
Perchè ogni bacio è un segreto rubato.
Tremo.
Non so se è vergogna.
O desiderio.

Vorrei nasconderti nel mio ombelico.
Nessuno può farmi più male di quanto io sappia farne a me stessa.
E' davvero difficile percorrersi da un lato all'altro senza perdersi.
Ed annegare nella consapevolezza.

Nessun nodo unisce davvero.

lunedì 18 maggio 2009

Genuflessa, liscio polvere. E la soffio. Lascia segni. Polvere di audaci viole. Strappate a steli silenti. Le tue mani sul mio collo. E io inerme. Puoi soffocarmi. O farmi addormentare. E strapparmi ogni segreto. Forse l’hai fatto. Ed ero disattenta. L’altare è un orizzonte inverso. Ancora prostrata. La preghiera è un mazzo di fiori recisi. Indaco come l’ombra di un sogno. Si staglia sulla mia coscienza. La polvere scivola ancora e cancella i segni delle tue mani. O della loro idea. Mordo il mio mignolo. Fino a sentire dolore. Riempio di baci i solchi dei miei denti. Come se fosse un rito. Ma è solo carenza. Attendo. E la promessa è la poltiglia del tormento. Un rifugio asciutto dalla menzogna. O dalla verità. Chi sceglie? Sceglie chi svolta l’angolo. Sceglie chi riesce a non scegliere. E’ come deviare un percorso ad ostacoli. E l’importante non è vincere. Solo esistere. Nel modo migliore possibile. Il senso del mondo è nella sua bellezza. L’unica carezza che ci concede. La mia voce gocciola sul palmo. E la annuso. Sembra saliva. Ma è veleno. E io non voglio far altro che berne. Da sola. Gravida, barcollo ogni notte. E partorisco voli di farfalle. Solo per strappargli le ali. E raccoglierne i colori. Il più assurdo atto di amore. Incompreso. Il soffitto è la grata del domani e il giorno vi cola dentro. Le ore si mescolano ai miei capelli ed ai miei polsi. Intrecciati, come mughetti, a un sonno lento. L’unico mio presente è l’odore del cuscino. E il mio respiro riverso su di esso. Sono la straniera che dorme nel mio letto. E ad ogni alba fugge. Ho solo poche tracce. Ma so di esistere.

E’ strano come il vento del cuore sappia spazzare via ogni altro pensiero.
Mi sveglio serena.
Le viole mi sorridono.
Dimenticavo, il mio nome è ancora Sara.

sabato 16 maggio 2009

Ho rubato nuvole.
E non dovevo.
Ho riempito bauli di nuvole.
Era forte il timore di riaprirli.
Afferrarne l'assenza.
Mi trema la mente nel ricordo.
E forse era lurida speranza.
Sono una perfida custode di sogni candidi.
Una portatrice sana di astrazioni.
E' questo che faccio.
Continuo a descrivere.
Parole strisciate su fogli come cielo imbavagliato.
E aria compressa in cassetti.
E di me faccio mondo.
Sciocco artificio di un minuscolo frammento.
Per non vivere.
O vivere solo poco poco.

E' che ho capito che solo raccontando le cose cessano di esistere.
Mi sono ascoltata nella mia voce.
Cadeva a picco come sassi.
E mi sono ritrovata.
Nella discesa.
E nella caduta.
E poi nell'urto.
In un attimo.
Era sole?
Era luna?
Era palla di fuoco?
Era cometa senza scia?
Pietra rovente?
Palla da biliardo?
O solo voglia di tutto questo?
Di conservare un pò di nuvole per i tempi di carestia.
Che è solo solitudine...

venerdì 15 maggio 2009

Epicamente avvinta al vago senso mi stringo dentro il mondo.
"Specchio di aria contorci la mia mente"
Sabbia e conchiglie.
Collanine leggere.
Ricordi profumosi di mare.
La sabbia nelle scarpe.
Fin dentro al cuore.
Adesso scorrono dentro la clessidra.
Mille lune.
Ed i loro frammenti.
E sono magma.
E sono cenere.
Il fiume viola è scorso.
E questa volta non c'è nessuna scia.
Ha compresso e urtato ogni ostacolo.
Senza travolgerlo.
E io mi volto.
Sorrido di fiori.
E ne limo la corolla.
"Specchio di carne resituiscimi il respiro"
E mi ribalto, ancora una volta.
Rubai un ricordo.
Sono rea confesso.
E lo stritolo.
Fino a farlo sanguinare.


"...Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,le cortesie, l'audaci imprese io canto,che furo al tempo che passaro i Morid'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,seguendo l'ire e i giovenil furorid'Agramante lor re, che si diè vantodi vendicar la morte di Troianosopra re Carlo imperator romano...".
Annoto battiti su una pagina stropicciata. Li annodo ai bordi. Come se ricamassi ridicole asole. O storie. E mi sdraio nel centro. Per non urtare il resto. E gli altri. Mi rifugio dentro pagine sconosciute. Sanno di passato. Un diario consunto e fitto. Pieno di luce buia. Non conto i fogli che mi separano dalla copertina. La mappa è qui. Tra labbra e labbra. E vi ripongo occhi. Lentamente li affido all'oblio. Oggi voglio affondare in un mondo senza occhi. Cadervi a picco. E perdermi nell'odore buono del pane. Nel rumore morbido dell'acqua. Dove nessuno ha bisogno del bisogno. E se ama, ama immensamente. Impicco la pretesa ad un lampione cieco. E là sventola la mia stupidità. E tocco il mondo. Con le mie dita e le mie ciglia. Affamate. O forse solo finte. Le risposte sono arrivate. La pioggia ha graffiato il vetro. Ma ha pulito l'aria. E' meravigloso il suo odore sincero. E per la prima volta io vedo. Senza occhi. L'alone dolce delle parole scorre lontano. Si è liquefatto. Ho rivestito di zucchero e canditi lucidi i pensieri. Ho strappato promesse inconfessate. E le ho cosparse sulle labbra di altri. Annusandole come fiori appena sbocciati. Era indifferenza. L'apparenza è il più indegno digiuno. La cattiveria è la più strana delle regole. Ma non è sciocca come la crudeltà. E nulla è più crudele che staccarsi gli occhi. Barattarli con il sogno. Imbrattare di amarezza le pareti. Solo perchè non riesci a disegnarci la primavera che senti. Quasi imporlo al mondo. Costringerlo a respirare a modo tuo. E poi a volte i battiti sfuggono da quel foglio. E io là. Senza più battiti. Attendo che il tempo volti pagina.
Pensavo di donare lealtà.
Erano solo foglie.
Ridicole foglie.
A pochi posso dire che la parte che preferisco del fiore sono le radici piene di terra.
"Dammi la mano amico mio. Ti porterò nella stanza della pioggia".

mercoledì 13 maggio 2009


Conto i miei passi sull'asfalto. E i miei tacchi bucano pozze di luce. Infilzano nuvole. Mi fanno compagnia rumori e stelle. Forse sono parole. L'aria è crudele. Striscia sulla pelle ricordi. E la luna è una immensa tasca. Ma sorride. Se avessi la possibilità cambierei pelle. Con corteccia. O forse con petali silenti. Lisci e bugiardi. Sola. Sola come la notte che si stinge nel giorno. E mi resta ancora tra le dita. Sola come il giorno che si tuffa nella notte. L'aria assedia le caviglie. E restare in equilibrio è più difficile. Sei prigioniera dell'istante. Era maggio. E già non c'era più. Era maggio. E poi tornò. L'amore. Odore di bucato sul collo. E baci morbidi. Fatti di lingue timide. Tornò. E io non c'ero. Mi illudevo. E costruivo castelli sulla riva. Inespugnabili. Ma sempre troppo vicini. L'onda arrivava. Sempre. E la sua schiuma trasformava tutto. In una grande pozza. Non voglio più spiegare le cose. A chi le conosce. Saremmo in due a perder tempo. E questo è un mio privilegio. Non lo baratterei con nulla al mondo. Neanche con l'anima. Se la avessi.
Oggi c'è un foro al centro dei miei pensieri.
Tutto si insinua e scorre.
E non trattengo.
Preferisco astenermi.
Non mi era mai resa conto di quanta carne c'è nei pensieri.
E nel pensato.
Più che altrove.

lunedì 11 maggio 2009

Amaro il sapore della terra. Era cosparsa di miele. Una pozza di miele scuro e denso. Sembrava senza fondo. Mordevo terra. Mi facevo coraggio e la divoravo. E mi sembrava di morire di fame. Luccicava la pozza e mi immergevo nel suo senso e lo leccavo. Ne conservavo il sapore confuso. Dentro. Come una carezza. In cerca di una ragione. Quella del cuore. La casa nascosta della verità. Adesso la conosco. Me la hai donata. Un pezzettino. Di verità irriverente. Leggera come la luce. Una luce dentro. Ho smesso mi specchiarmi in quel riflesso. Deformante. Era conferma. E poi sorrisi. E miraggio. Osceno miraggio. Di un cielo lontano e terso. Macchiato di stelle pazze. Quasi in rivolta. Convinte di essere lune. E le mie radici fluttuavano. Mescolavano. Confuse tra le zolle e l'errore. E le parole. Infilate sotto la pelle. Tra il sangue. Scorreva intorno. Compiaciuto. Di mescolarsi. E di essere mescolato. Sotto la pelle. Come in un ingorgo.
Come se avessi potuto essere forte.
Io ci ho creduto.
Era finzione.
Il gioco degli specchi.
E io povero riflesso del riflesso.
Non sono fragile.
Sono orrendamente debole.
E respiro terra.
Le mie radici mi accarezzano.
Come rete di amore.
Lontano e tremulo.
E nello stesso tempo mi soffocano.
E mi ritrovo con le le labbra cosparse di terra.
Incapaci di amare.
E di spiegare.
E a volte è la stessa cosa.
Era quella la verità.
Tra gli altri e me.
Scelgo sempre gli altri.
Convinta di potermi ritrovare.
Di avere abbastanza tempo e spazio.
Non è bellezza.
E' assenza di coraggio.
Vuoto nel vuoto.
Senza ombra di oltre.
Ho inciso parole sotto pelle.
Sotto sotto.
Dove non c'è luce.
E non conosco la strada.
Affinchè la carne non potesse conoscerle.
Nè riconoscerle.
E adesso le ho perse.
Tra le vene.
E forse tra i pensieri.
L'unica possibilità è il futuro.
La parola che è rimasta incastrata tra le mie labbra.
Insieme al silenzio.

Fantasmi mi inseguono. Senza convinzione. E non mi raggiungono. Mai.

sabato 9 maggio 2009

Mi lascio trasortare dal senso di una primavera acerba.
Ha un odore inconfondibile.
Al centro del mio cuore c'è un ramo.
E sento sbocciare fiori.
Esplandersi.
Spostano aria.
E invadono di vita.
Fiori destinati a non essere raccolti.
Fiori destinati ad accarezzarmi l'anima.
E a sciogliermi sorrisi.
A morire senza essere mai nati.
Adesso cullo i loro germogli.
E li trattengo.
Respiro la mia resistenza.
Che poi è paura.
E cerco le radici.
E mi racconto una storia generale.
Senza dettagli.
Che avvolga come un velo.
Mentre è solo misero cielo.
E' l'aria che ci impedisce di essere nudi. Riempiamo di presente i nostri giorni. Ma dura solo istanti.Siamo destinati a riempirci di passato. Immediato e fremente come un orgasmo. Il segreto più recondito. Perso tra mente e carne. Con sbavature di cuore. Muscolo presuntuoso. La linfa è là. Nel cuore. E non ha senso centellinarla.
Scorrimi e sgorga.
Fendimi e riempimi di crepe e di fessure.
Non voglio che quello.
Secernere distillato di primavera.
Che poi è sangue.
E dimenticare il resto.

mercoledì 6 maggio 2009

Scivolano i pensieri sul davanzale. Sembrano gocce. Ma sono lame. Tagliano la notte in rettangoli. E li mescolano. E io perdo la luna. A caccia di aria. Pensieri ladri di aria. Avidi di un freddo pudore che ricomponga la loro sagoma. Ed elimini ogni sbavatura. Fino a renderli mai pensati. Pensieri discinti. Inaspettati e sfuggiti. Inseguiti e braccati. E poi dimenticati. Nel gomito. In una canzone. Tra le dita. In un panino. Nell'ombelico. Nell'odore della primavera. O sul collo. O proprio qui. Al centro di me.
La forma si mescola al loro vago senso. E quella percezione che vorrebbe diventare idea. E si adagiano tra la labbra e cuore. Incastrati. Tutto dentro. E compressi. Sembrano esplodere.
Mentre sono destinati a sciogliersi.
A contatto di quella fiamma che del cuore ha il calore.
Null'altro.
E divenire liquidi.
Come in una notte d'estate.
Quando mare e cielo sono una cosa sola.
Senza altra possibilità.
E rugiada distesa tra i petali.
Adagiata.
In attesa.
Di luce.
O solo di forza.
E malinconia tra le mani.
Fino ai polsi.
Raccolta alla rinfusa.
E i gomiti come rifugio.
Malinconia lisciata e accarezzata.
Intinta nella pece della notte.
Si fa chiamare solidutine.
Ma forse è solo timoroso desiderio.
Di essere.
Di separarsi.
Di dividere l'interno e l'esterno.
Non è malinconia.
Verità è il suo nome più probabile.
O forse solo carezza.
Piove primavera sul mio seno buio.
Mi spoglio di fiori.
Non è peccato.
Sola innocenza.
Si ama con la testa.
E chi non sa farlo chiama perversione quegli scampoli di sensi.
E io ritrovo me stessa al posto del cuore.

martedì 5 maggio 2009

Il mare pare abbia rubato tutte le stelle al cielo. La luna, una luna di avorio, candida e bugiarda, strappa la memoria. Strato per strato. E li annoda. E si ricopre di purissimo oblio. Mi è sfuggito dagli occhi un mare di stelle. Implose. Frammenti e deliri e soffici cuscini. Le mie ossa si rifugiano nella carne. A caccia di calore. L'unica tana possibile. E io la tua.
La belva ha fame e contrae le viscere. Si contorce. E sembra quasi amore.
Amore.
La parola fatta mondo.
"Dammi il tuo nome. E ti darò il mio".
Saranno le chiavi. O una sola. Fatta del mio nome e del tuo. E suggeremo oscurità.
C'è troppa carne nel mio cuore questa notte. E parole. Come scrigni. E come mondi di mondi. Dove l'unità di misura non è il corpo. Tutto si misura con altro.
Mi macchio di sangue e di azzurro. E di polvere. E lento è il mio amplesso con la crudeltà. Sono la puttana del buio. E' l'unico padrone che riconosco. E non gli resisto. Per lui potrei anche non essere. E gli spalanco ogni mia remora.
Quante storie dentro una storia?
Quanti uomini dentro uno solo?
E tra le sue estremità?
Da quale mondo proveniva quella voce che mi riempiva i frammenti nella mia misera testa? E mi gonfiava le vene di vita. Come vele. E le percuoteva fino a strapparle. Ero il misero brandello di una vela. Io. O un'altra. Nulla di più. Una vela temeraria. Gonfiata dal vuoto. E le mani come coppa. Come se respirare fosse una scelta.
Ero una donna di vetro. Una bottiglia. Con le sue curve della carne e dell'anima imprigionate nel bagliore lucido di quel vetro. Con un messaggio. Uno stupido segreto. In attesa di essere frantumata.
Solo così avrei salvato il mio segreto.
Ma così non fu.